mercoledì 5 febbraio 2014

Robert Doisneau. Paris en liberté


Qualche giorno fa sono andata a Parigi. In realtà ho fatto prestissimo, mi è bastato andare a Genova, comperare un biglietto per la mostra Paris en liberté, varcare la soglia e trovarmi immediatamente catapultata nella capitale francese. E ho fatto anche un viaggio nel tempo, perché la Parigi che ho visitato era quella degli anni '40, poi quella degli anni '50 e così via, fino ad arrivare quasi ai giorni nostri. Un viaggio nello spazio e nel tempo senza quasi muovermi da casa. È per magie come queste che adoro così tanto andare alle mostre fotografiche: un attimo prima cammini per le strade che conosci così bene, circondata da profumi, voci e immagini a noi familiari, un attimo dopo sei trasportata in un mondo nuovo, diverso, entusiasmante


Chi mi legge da tempo sa che amo visitare le mostre da sola, nel silenzio, circondata solo dalle opere in esposizione. Anche per questa mostra avevo fatto in modo di essere da sola, sono entrata prestissimo, poco dopo l'apertura, in modo da evitare la folla. La sala era vuota, c'era un silenzio perfetto e ho cominciato a guardare le foto. Ma c'era qualcosa che non andava, una sorta di stonatura. Non capivo cosa fosse, finché non è arrivato un gruppo di studentesse in gita. In un attimo hanno riempito la sala, con movimenti, profumi, voci sussurrate e chiacchiericcio soffocato. Normalmente la cosa mi avrebbe dato fastidio, questa volta invece era esattamente quello che mancava. Sì, perché questa è una mostra che inneggia alla vita, alla gioia, condita da risate, voci, rumori e allegria. Non la si può guardare in silenzio


Del resto, è stato lo stesso Doisneau a dire: "Il mondo che cercavo di mostrare era quello in cui mi sarei trovato bene, abitato da persone cordiali e colmo della tenerezza che bramo. Le mie foto costituivano una prova della possibile esistenza di quel mondo". E le foto in mostra non sono altro che una testimonianza di questo pensiero. Ci sono sorrisi, divertimento, allegria. C'è tutta la clientela di un bar che si ferma ad ascoltare una fisarmonicista dallo sguardo ammaliante. C'è Coco il matto, che va in giro con il suo pappagallo e ti guarda con i suoi occhi vispi. Ci sono gli sconosciuti incontrati per strada, ma anche una lunga serie di personaggi famosi. C'è Marguerite Duras, che accenna un sorriso seduta al tavolino di un bar, c'è Simenon con la pipa in bocca, Orson Welles che se la ride e Giacometti, che sembra quasi divorare la macchina fotografica, con il suo sguardo penetrante.


Doisneau doveva essere un tipo davvero simpatico, perché tutti i suoi soggetti sembrano essere divertiti e a proprio agio. Rilassati, tranquilli, si offrono con fiducia al fotografo che li ritrae. Doisneau li ama profondamente. E ama soprattutto le persone comuni, i passanti, i negozianti, i clochard, le persone che popolano la Parigi più vera. Li ama così tanto da sentirsi in colpa quando va a lavorare per Vogue. Sente di tradirli, sente la loro mancanza così profondamente da andarli a cercare dopo il lavoro al giornale. Per notti intere gira i locali della città alla ricerca di personaggi bizzarri, della cartomante, del pittore straccivendolo, dell'ammiraglio che colleziona "cose che brillano". Sono queste persone che costituiscono il cuore di Parigi, quello a cui Doisneau rimarrà legato per tutta la vita.


Come ho già detto, tutta la mostra è un inno alla vita, alla sua bellezza e alla sua gioia. Ma la mostra è anche venata di nostalgia, la malinconia verso un passato che non torna più, verso una città che cambia e che non sarà più quella che si è conosciuta. Questa nostalgia emerge nella serie dedicata al mercato de Les Halles: Doisneau amava tantissimo questo luogo, tanto da dedicargli più di 150 scatti. Riteneva che fosse un luogo che univa tutti i parigini, straccioni e miliardari, suore e ubriaconi, commercianti e artisti, in una grande comunione democratica. Gli scatti che ritraggono l'abbattimento del mercato e l'enorme buco lasciato dalla sua distruzione sono tra gli scatti più tristi della mostra e colpiscono per il loro silenzio, contrapposto alla vivacità delle immagini del mercato in piena attività.



Ma Doisneau ama sorridere e si torna subito all'allegria con la serie dedicata alla vetrina di Romi: l'intuizione geniale del fotografo di accomodarsi dietro la vetrina di un antiquario che espone un quadro di nudo, scattando foto ai passanti. C'è la donna con gli occhi spalancati e la bocca aperta, colta di sorpresa, c'è il giovane che sorride divertito, ci sono gli sguardi di curiosità, disapprovazione, stupore. C'è la coppia, lei che distoglie lo sguardo e lui che dà un'occhiata al quadro cercando di non farsi vedere. C'è l'imbarazzo della donna che guarda il quadro e si tocca i capelli, quasi a nascondere il viso. Una serie di sguardi meravigliosi. Puro divertimento e arte vera.


La celebrazione della vita continua e raggiunge il suo massimo in una sala dedicata interamente a scatti di bambini e di animali. Del resto, quale modo migliore di festeggiare la vita? Ci sono bambini che giocano in strada, altri che imparano a scrivere su un muro, piccoli visi che guardano a bocca aperta una vetrina piena di giocattoli, ragazzini che vanno a fare la spesa oppure suonano i campanelli delle case per scherzo. Di fronte a loro, ci sono cani che giocano, che vanno in moto con i padroni, che se ne stanno distesi sui loro padroni, in una grande, unica, perfetta celebrazione della bellezza della vita. E qui sono perfette le parole di Doisneau: "Certi giorni basta il semplice fatto di esistere per essere felici. Ci si sente leggeri, leggeri, ci si sente talmente ricchi da avere voglia di condividere con qualcuno una gioia troppo grande". 


Passando di sala in sala si continua a camminare per Parigi, lungo la Senna, alle Tuileries, tra le statue dei grandi di Francia, in mezzo agli edifici storici e a quelli di più recente costruzione. E camminando camminando si imparano anche grandi lezioni di fotografia. La prima, fondamentale, è la pazienza. Infatti, come dice Doisneau, "Bisogna avere il coraggio di piazzarsi in un punto e restare immobili, non solo per un minuto, ma anche per un'ora, diventare una statua senza piedistallo". Scegliere un luogo, un'inquadratura, un quadro e aspettare. Vedere cosa succede. Osservare. Con calma, pazienza, senza fretta. Poi il fotografo ci parla di composizione, infatti pare che egli cerchi di riprodurre nelle sue immagini le lettere a, v, l e la lettera o, perché sono queste lettere a rendere la composizione più leggibile, anche se i più non ne sono consapevoli. E infine l'ultima lezione è quella che Doisneau ci riserva guardando i turisti che fotografano in Place de la Concorde, carichi di attrezzature costose, apparecchi all'avanguardia, tecnicismi che, secondo il fotografo, a nulla servono senza l'occhio e la capacità di vedere col cuore. Una cosa che Doisneau sa fare alla perfezione. 

6 commenti:

  1. Ciao Cinzia.

    Ho letto questo articolo per due volte... sono rimasto "a bocca aperta" per le sfumature che hai saputo cogliere e descrivere così bene e per alcuni aspetti della mostra cui io non avevo fatto assolutamente caso. Il discorso delle studentesse, del silenzio, l'idea che non si poteva visitare la mostra senza quel chiacchiericcio... Così, catturato dall'entusiasmo delle tue parole, ho ripercorso mentalmente l'itinerario che ho seguito durante la mia visita ed ho potuto riassaporarne alcuni momenti.

    Complimenti, un bellissimo articolo. Sei riuscita a trasmettere in modo efficace le tue sensazioni ed è un peccato che la mostra sia finita perchè adesso avrei voglia di rivisitarla per "viverla" in modo diverso.

    Un caro saluto :)
    Flavio

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    1. Urca, grazie. Sei stato gentilissimo! Sono felice che il post ti sia piaciuto!
      A presto
      Cinzia

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  2. Non sono ancora stata alla mostra ma capisco perfettamente quello che intendi dicendo che alle fotografie mancava gente intorno, mancavano i suoni e gli odori della vita vera e propria, che si estende oltre la superficie della stampa! :D
    E l'idea di fotografare una vetrina, non vista dal di fuori (come potrebbe sembrare più logico) ma dal di dentro, attraverso i volti dei passanti trovo sia assolutamente geniale! Tempo fa avevo letto di un progetto fotografico basato su un cambio di prospettiva simile: il fotografo, invece che immortalare i dipinti e le altre opere d'arte esposte in un museo, aveva fotografato i visitatori. Peccato che ora non ricordi più il nome del fotografo...

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    1. Io ricordo una serie di Elliott Erwitt scattata nei musei: geniale e divertente.
      Grazie del commento e un abbraccio,
      Cinzia

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